Ho letto attentamente
l’intervista rilasciata da Francesco Nicodemo, recentemente nominato membro
della Segretaria Nazionale del PD dal neoeletto Matteo Renzi e rispetto alla
stessa ho avvertito la necessità di esternare alcune mie riflessioni, in
considerazione del fatto che, non me ne voglia l’amico Francesco, alcune
asserzioni fatte a nome di una generazione, quella degli over 30 che aspirano
ad essere considerati under 40, mi hanno lasciata perplessa è dir poco. Intanto,
ho fatto un rapido sondaggio tra tanti amici e colleghi, giovani medici,
avvocati, qualche commercialista, per lo più neolaureati o professionisti in
cerca di affermazione: ebbene, non ne ho trovato uno che avesse letto Fabio
Volo o Franzen, né che fosse appassionato dei Radiohead. A parte le battute di
spirito, utili a stemperare il senso di alcune riflessioni, mi sento di voler
dire che in realtà la nostra, più che la generazione di Mandela, di Prodi, o di
Capaci, dell’alternanza o del bipolarismo, è la generazione della precarietà,
della disperazione, dell’assenza di una prospettiva di serenità, della mancanza
di un futuro e della evanescenza del presente. La nostra, purtroppo, è una
generazione un po’ dannata, che una vera identità ancora non è riuscita a trovarla,
stretta, com’è, nella morsa della globalizzazione e della crisi delle
istituzioni democratiche a vantaggio dell’ascesa delle lobby economiche. I miei
coetanei e lo voglio ricordare a Francesco, da un bel pezzo hanno perso
l’opportunità di poter scegliere tra Franzen e Fabio Volo, e si trovano a dover
fare i conti con la necessità di decidere in quale regione
d’Italia, al di sopra della ridente Toscana, emigrare per andare a guadagnare mille euro al mese. La generazione dei nati tra gli anni Settanta ed Ottanta, purtroppo, ha smesso da un pezzo di credere nell’uguaglianza e nel merito, perché in questo Paese, “merito ed uguaglianza” sono categorie completamente derubricate da una società che le ha rimpiazzate con quelle più rassicuranti dell’ “appartenenza”, della “fidelizzazione” e del “familismo più sfrenato”, ai quali la politica, anche quella più nostrana, ha prestato il fianco, facendone largo uso in questi anni. Napoli, per fare un esempio, oggi vive una condizione drammatica, proprio a causa di quella politica che, non avendone le capacità, non è stata in grado di affermare un’idea di città che reggesse nel tempo, che valorizzasse prospettive di sviluppo in assenza delle quali la nostra comunità ha ritenuto – probabilmente anche in modo giustificato e giustificabile – di affidarsi, nel 2011, non ha chi proponesse un progetto più credibile, bensì urlasse più ad alta voce, sottolineando i fallimenti di chi aveva governato Napoli nei cinque anni precedenti, salvo poi essere letteralmente ripudiato dai propri elettori. Per tutte queste considerazioni credo che dovremmo cercare di allargare il nostro orizzonte e le nostre capacità di essere rappresentativi di una generazione che, pur avendo smarrito molte speranze, non ha perso la capacità di mettersi in discussione, non facendo ricorso solo ai social network ed alle community, bensì, senza necessariamente smanettare su internet, sgomitando nel mondo del lavoro, quello vero, facendo impresa, formandosi e garantendo al nostro sistema quella competitività che purtroppo la politica, anche quella giovanilista, non è in grado di assicurare. L’appello, dunque, che rivolgo a Francesco, così come ai tanti giovani che aspirano a divenire classe dirigente del Paese, è quello di fare una delle cose che, ahimè, purtroppo alla sinistra negli ultimi anni non è proprio riuscita, ovvero guardare alla effettiva realtà della nostra società, ai suoi problemi, costruendo soluzioni e ridando speranze, senza proclami o luoghi comuni, ormai superati.
d’Italia, al di sopra della ridente Toscana, emigrare per andare a guadagnare mille euro al mese. La generazione dei nati tra gli anni Settanta ed Ottanta, purtroppo, ha smesso da un pezzo di credere nell’uguaglianza e nel merito, perché in questo Paese, “merito ed uguaglianza” sono categorie completamente derubricate da una società che le ha rimpiazzate con quelle più rassicuranti dell’ “appartenenza”, della “fidelizzazione” e del “familismo più sfrenato”, ai quali la politica, anche quella più nostrana, ha prestato il fianco, facendone largo uso in questi anni. Napoli, per fare un esempio, oggi vive una condizione drammatica, proprio a causa di quella politica che, non avendone le capacità, non è stata in grado di affermare un’idea di città che reggesse nel tempo, che valorizzasse prospettive di sviluppo in assenza delle quali la nostra comunità ha ritenuto – probabilmente anche in modo giustificato e giustificabile – di affidarsi, nel 2011, non ha chi proponesse un progetto più credibile, bensì urlasse più ad alta voce, sottolineando i fallimenti di chi aveva governato Napoli nei cinque anni precedenti, salvo poi essere letteralmente ripudiato dai propri elettori. Per tutte queste considerazioni credo che dovremmo cercare di allargare il nostro orizzonte e le nostre capacità di essere rappresentativi di una generazione che, pur avendo smarrito molte speranze, non ha perso la capacità di mettersi in discussione, non facendo ricorso solo ai social network ed alle community, bensì, senza necessariamente smanettare su internet, sgomitando nel mondo del lavoro, quello vero, facendo impresa, formandosi e garantendo al nostro sistema quella competitività che purtroppo la politica, anche quella giovanilista, non è in grado di assicurare. L’appello, dunque, che rivolgo a Francesco, così come ai tanti giovani che aspirano a divenire classe dirigente del Paese, è quello di fare una delle cose che, ahimè, purtroppo alla sinistra negli ultimi anni non è proprio riuscita, ovvero guardare alla effettiva realtà della nostra società, ai suoi problemi, costruendo soluzioni e ridando speranze, senza proclami o luoghi comuni, ormai superati.
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